

Nel futuro dell'Italia si spenderà sempre meno per l'istruzione statale. Il Def (il Documento di economia e finanza) presentato dal premier Silvio Berlusconi qualche giorno fa, spiega tutto. Meno risorse per il personale della scuola, che dopo la cura da cavallo da 87 mila cattedre e 42 mila posti di personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario), subirà ulteriori riduzioni. Stipendi più leggeri per gli insegnanti. E una quota sempre più bassa di ricchezza del Paese destinata a scuola e università. Ma non solo: il documento prevede anche una non meglio specificata "riduzione strutturale della popolazione scolastica".
Ovviamente, quella a carico dello Stato.
Ma andiamo con ordine. "La spesa per l'istruzione - recita il Def - presenta una significativa riduzione per effetto delle misure di contenimento della spesa per il personale, a cui segue un andamento gradualmente decrescente nel trentennio successivo, dovuto alla riduzione strutturale della popolazione scolastica".
[...] l'eventuale ricchezza prodotta dal Paese nei prossimi anni potrebbe essere spostata altrove: la quota di Pil attualmente impegnata nell'istruzione, il 4,2 per cento, calerà al 3,7 per cento nel 2015 e addirittura al 3,4 nel 2060. "La previsione delle spese per l'istruzione - spiega Tremonti - ingloba gli effetti di contenimento della spesa derivante dal processo di razionalizzazione del personale della scuola pubblica anche attraverso la riduzione del gap nel rapporto alunni/docenti rispetto agli altri paesi".
"E la previsione - continua - tiene conto degli effetti indotti dalle misure di blocco, senza possibilità di recupero, delle procedure contrattuali per il triennio 2010/2012 e del blocco del meccanismo automatico delle progressioni stipendiali per il periodo 2011/2013". Che tradotto dal burocretese significa due cose: niente contratto per il personale della scuola almeno fino al 2013 e scatti "congelati" per un triennio. Quello che più temevano i docenti, che vedranno calare il potere d'acquisto delle proprie retribuzioni.
Ma la scuola dovrà fare i conti anche con l'effetto di trascinamento della riforma Gelmini che continuerà a mietere posti di lavoro per il futuro. La riforma dei licei, a titolo di esempio, il prossimo anno interesserà le seconde classi e dovrà ancora dispiegare i suoi effetti fino alla quinta. Con le immancabili ripercussioni sul futuro dei precari che troveranno più difficoltà ad accedere al ruolo.
(Salvo Intravaia)
Il lettore Nino Gernone che ringrazio, mi ha fatto pervenire questo brano di Piero Calamandrei tratto dal suo Discorso pronunciato al 3° Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950. Sono passati sessant’anni e questo discorso sembra una profezia che rende evidente il fatto che mai è scongiurato il pericolo di passare da un «totalitarismo aperto e confessato» a un «totalitarismo subdolo, indiretto e torbido». Continuiamo a ritenerci un paese democratico probabilmente perché siamo liberi di votare ma, come ci ricorda Giovanni Sartori, le elezioni sono solo un dei tanti modi possibili di eleggere i capi, la democrazia è ben altro. È innanzitutto scuola e istruzione, perché quando il popolo diventa gregge, ce lo ricorda Nietzsche, «altro non desidera che l’animale capo».
Uno dei modi per desensibilizzare un popolo al bisogno di democrazia è impoverire la scuola, sottraendole i mezzi finanziari necessari per compiere quel lavoro fondamentale che è l’educazione dei giovani. Ridurre il numero dei maestri e dei professori, aumentare il numero degli studenti nelle classi significa semplicemente rendere impossibile qualsiasi processo di istruzione e di educazione, e trasformare la scuola in un semplice parcheggio di ragazzi a tutt’altro interessati, che si fatica persino a tener disciplinati. Io non penso che ciò avvenga solo per ragioni finanziarie.
In fondo un popolo incolto, o educato solo dalla televisione, è più facile da governare.(Umberto Galimberti, La Repubblica D 218, 23 APRILE 2011)
Il capo del governo attacca la scuola pubblica e dichiara: "Libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori".
Lasciando da parte gli aspetti di tale dichiarazione che si commentano da sé, sulla libertà educativa il premier dimentica qualcosa.
Dimentica prima di tutto che le scuole private sono in gran parte finanziate dalle imposte che pagano tutti i cittadini.
Dimentica anche che la Costituzione prevede che "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato" (art 33 c 3).
Pertanto Scuola Democratica propone la seguente iniziativa:
chiedere nei modi previsti dalla legge che il finanziamento per le scuole private sia tolto dalla fiscalità generale e inserito in una categoria tipo 8 x 1000 o 5 x 1000, insomma reso volontario, con provvedimento ad hoc analogo a quelli citati sopra.
E' anticostituzionale l'obbligo per tutti i cittadini di finaziare le scuole private. La stessa Costituzione impone infatti anche che "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi" (art. 2 c.2).