domenica 18 dicembre 2011

Continua la distruzione della scuola pubblica



Condividiamo il giudizio sulla manovra del governo, espresso dal sindacato FLC CGIL Scuola, di cui riportiamo la parte specifica relativa ai gravi danni che subirà il sistema scolastico pubblico:


La più grande delusione arriva dal silenzio riservato ai nostri settori. Al sistema formativo del Paese non è stata dedicata nessuna attenzione. Tutti ormai sono concordi nel ritenere che investire in formazione e ricerca serve per favorire la crescita e lo sviluppo. In particolare l'istruzione è un settore strategico che fa da cerniera tra i diritti delle persone e lo sviluppo economico e democratico del Paese. Sarebbero stati sufficienti piccoli segnali per dare senso e consistenza alle parole del Presidente Monti sull'importanza che lo studio ha per dare una prospettiva, un orizzonte politico nuovo alle future generazioni e all'affermazione del presidente di Banca Italia che investire in capitale umano produce più ricchezza per gli individui e per la collettività. Invece dobbiamo constatare con amarezza che i nostri settori con questa manovra, se non sarà modificata, si troveranno ancora più in difficoltà rispetto al passato. Ad esempio l'aumento generalizzato dei costi di beni e servizi e dell'IVA dal 10 al 12% (regime agevolato) e dal 21% al 23% non sono certo notizie esaltanti per le casse esangui di scuola, università, enti di ricerca. L'aumento dell'IVA determinerà in molti istituti la riduzione degli approvvigionamenti per le esercitazioni di laboratorio. Ne sono un esempio gli Istituti Alberghieri che giornalmente devono acquistare i prodotti alimentari.
Dati preoccupanti che si inseriscono in un contesto fortemente compromesso dalle politiche neo liberiste degli ultimi anni che hanno abbassato dello 0,50% la media della spesa per l'istruzione e la ricerca in rapporto al Pil che è tra i più bassi nei paesi OCSE (4,5% contro una media del 6,1%). Pertanto non è condivisibile l'idea di chi pensa che per ridare centralità ai settori della conoscenza non siano necessari investimenti, anzi si può ancora tagliare.
Le conseguenze di queste politiche sull'istruzione sono disastrose specie se si considera che con la crisi sono in aumento le famiglie a rischio povertà che, secondo il Rapporto Svimet 2011, in alcune zone del sud del Paese sfiorano il 40 % della popolazione.
Il peggioramento delle condizioni economiche e sociali fa diminuire la percentuale degli studenti che passa dal primo al secondo ciclo di istruzione e degli accessi all'università, perché le famiglie meno abbienti non sono più in grado di sostenere i costi dell'istruzione e l'aumento delle rette universitarie.
Inoltre, l'irrigidimento del sistema pensionistico avrà un effetto di riverbero sul turn over sbarrando la strada al rinnovamento nei nostri settori che invece avrebbero bisogno di risorse giovani per favorire il diritto allo studio e di cambiamenti e innovazioni in campo didattico, organizzativo e di ricerca.
L'effetto combinato tra aumento dell'età pensionabile, limitazione del turn over, legge Brunetta e riduzione delle risorse rende impossibile le stabilizzazioni dei precari e il reclutamento nei comparti di università, ricerca e Afam.
Impedire ad esempio di andare in pensione ai nati del 1952, bloccati da anni già dalle precedenti riforme, pur avendo anzianità molto alte dai 36 anni fino ad arrivare in molti casi a 40, non solo nega a questi lavoratori di percepire il meritato trattamento pensionistico che a volte, per la differenza di nascita di pochi giorni (ad esempio i nati nel gennaio), determina iniquità rispetto a chi è uscito dal 1° settembre 2011 con minori anzianità, ma ha effetti negativi sulla programmazione delle immissioni in ruolo per il 2012 e 2013 (20.000 docenti e 7.000 ATA per anno) legate al turn over.
Il settore della scuola aveva già pagato la crisi con oltre 130.000 tagli di posti di lavoro, blocco degli stipendi con il congelamento degli scatti e del contratto, riduzione dei finanziamenti per il funzionamento delle scuole. Esse aumenteranno, loro malgrado, il contributo a carico delle famiglie se vorranno mantenere l'attuale livello qualitativo, altrimenti gli studenti non avranno la preparazione necessaria per l'inserimento nell'ambito lavorativo.

mercoledì 2 novembre 2011

Elogio degli insegnanti

Riportiamo l'articolo di Massimo Recalcati tratto da La Repubblica, che sviluppa temi su cui Scuola Democratica ormai da decenni svolge la sua attività.

ELOGIO DEGLI INSEGNANTI PERCHÉ LA TECNOLOGIA NON PUÒ SOSTITUIRLI
31 ottobre 2011 — pagina 49 sezione: CULTURA
Un bravo insegnante, raccontava una volta un grande psicoanalista come Moustapha Safouan, si riconosce da come reagisce quando, salendo in cattedra, gli capita di inciampare. Cosa saprà fare di questo inciampo? Ricomporrà immediatamente la sua immagine facendo finta di nulla? Rimprovererà con stizza le reazioni divertite dei ragazzi? Nasconderà goffamente il suo imbarazzo? Oppure prenderà spunto da questo imprevisto per mostrare ai suoi alunni che la posizione dell'insegnante non è senza incertezze e vacillazioni, che non è al riparo dall'imprevedibilità della vita? Potrà allora far notare che lo studio più autentico e appassionato non è mai esente dall' inciampo perchéè proprio questo, come il fallimento, a rendere possibile la ricerca della verità. Certamente ci sono insegnanti che separano il sapere dalla vita e che offrono ai loro alunni solo una serie di nozioni nate già morte. In questi casi non c'è vita ma routine e un uso sterile del sapere. Ma se esiste una vocazione all'insegnamento, non può che radicarsi nell' inciampo. E questo mostrano una serie di libri usciti in questo periodo che, nonostante tutto, sono dichiarazioni appassionate per la scuola e per chi tutti i giorni ci lavora e si dispera: da L' iguana non vuole di Giusi Marchetta (Rizzoli) a Ti voglio bene maestro! di Giuliano Corà (Angelo Colla Editore). Raccontano le loro difficoltà, gli errori, confessano le fragilità. E insieme rinnovano la voglia di andare avanti. D'altra parte i bravi insegnanti sanno di cosa parlo; loro stessi sono inciampati almeno una volta prima di salire in cattedra e continuano ad educare i loro allievi alla contingenza imprevedibile della vita. Ricordiamo gli insegnanti che sono stati per noi degli inciampi che ci hanno sottratti alle nostre abitudini mentali e ci hanno fatto pensare in modo nuovo. Il nostro tempo favorisce invece l'assimilazione dell'insegnante ad un computer, ad un tecnico di un sapere senza corpo, totalmente disincarnato. Nel tempo in cui la rete sembra scalzare la funzione dell' insegnante offrendo un sapere a portata di mano e senza limiti, dobbiamo ricordare che essa non ha un corpo, non può animare l'erotica dell'apprendimento. Le possibilità della rete e la computerizzazione tecnologica dell'insegnamento sembrano invece coltivare l'illusione dell'esclusione del corpo dalla relazione didattica. Ma solo un cognitivismo esasperato può pensare di separare i processi di apprendimento dall' eros che abita da sempre ogni relazione formativa. La psicoanalisi e la pedagogia più illuminata insistono su questo punto: le possibilità dell'apprendimento hanno come condizione l'eros del desiderio. Pensare di trasmettere il sapere senza passare dalla relazione con chi lo incarna è un' illusione perché non esiste una didattica se non entro una relazione umana. Coloro che vorrebbero ridurre il processo di apprendimento e di insegnamento alla trasmissione tecnologicae asettica di pratiche codificate cognitivamente e che ripongono la loro speranza nella definizione di un metodo efficiente di assimilazione e di organizzazione dei saperi, pretendono di cancellare l' intrusione del corpo nella relazione didattica e commettono un errore ossessivo in senso clinico. Il bravo insegnante non è colui che nega il valore del sapere, non è colui che proclama il suo azzeramento, ma è colui che mentre lo trasmette sa anche mantenerlo sospeso. Questo doppio tempo della dinamica formativa lo ritroviamo nella vita quotidiana di ogni insegnante e di ogni allievo come oscillazione tra la necessità dell'applicazione, del metodo, dell' ostinazione, della fatica e del sacrificio e possibilità dell'erotizzazione del mondo attraverso il linguaggio, del desiderio di conoscenza, del viaggio, dell' avventura, dell' andare altrove, al largo, lontano, alla scoperta di altri mondi, verso l'inedito e il non ancora conosciuto. Nel nostro tempo l'insegnante è sempre più solo. Questa solitudine non riflette solo la sua condizione di precariato sociale, ma anche la rottura di un patto generazionale coi genitori. Lo studio dello psicoanalista ne raccoglie i cocci: genitori sempre più complici e alleati di figli sempre meno riconoscenti e sempre più pretenziosi. Genitori che anziché sostenere l'azione educativa della scuola, di fronte al primo ostacolo, preferiscono spianare la strada ai loro figli, togliere gli ostacoli, evitare l'inciampo, per esempio cambiando scuola o insegnanti, insomma recriminando continuamente contro l'Altro come fanno i loro stessi figli. Un tempo l'alleanza generazionale tra genitori e insegnanti non era mai in discussione. Il rischio era quello di giustificare derive autoritarie del processo educativo. Oggi però questa alleanza tende a dissolversi. L'ostacolo della differenza generazionale e dell'insuccesso scolastico viene vissuto solo come una frustrazione da evitare. In questo difficile contesto la domanda che assilla l'insegnante nella sua solitudine si radicalizza: come può continuare ad amare ciò che fa? come può resistere all'appassimento, all'accomodamento del sapere somministrato secondo gli standard stabiliti? come può tenere viva la passione che comporta la sua pratica? I bravi insegnanti sanno rinnovare ogni giorno il loro desiderio solo perché conoscono le insidie della caduta nella noia e nella ripetizione e si impegnano a ricercare i giusti antidoti sopportando la solitudine che la sfaldatura del patto generazionale tra gli adulti comporta. Per questa ragione il tempo dell'inciampo resta essenziale perché mantiene sveglio l'insegnante stesso e, di conseguenza, impedisce anche ai suoi allievi di addormentarsi. Un mio vecchio professore di filosofia commentando con il solito rigore e la sua chiarezza cristallina la Scienza della logica di Hegel, di tanto in tanto alzava gli occhi al cielo e ci diceva; "qui veramente non possiamo più seguire Hegel; chissà cosa avrà visto?". Il mio vecchio professore di filosofia non aveva imbarazzo nell'inciampare sul testo che commentava perché sapeva bene che questo inciampare ci avrebbe aiutato ad autorizzarci a pensare con la nostra testa, cioè a cercare il nostro modo personale di inciampare sul testo. Il bravo insegnante, nelle Scuole elementari come all' Università, è colui che non ha né paura né vergogna del suo non sapere, della sua ignoranza (che Cusano avrebbe definito "dotta") perché sa che i limiti del sapere sono ciò che animano la spinta della conoscenza. E' il grande peccato che racconta il mito biblico dell'albero della conoscenza. In cosa consiste? Nell' illusione umana di accedere al sapere come dominio, alla conoscenza assoluta del bene e del male, ad un sapere che pretende di essere padrone della vita, che pretende di escludere l' inciampo. - MASSIMO RECALCATI

Il governo del fare




La Sera di Parma ha interrotto le pubblicazioni, speriamo temporaneamente.

La rubrica del giovedì "La scuola vista dalla luna" proseguirà su questo blog.

Questo è l'articolo che sarebbe stato pubblicato domani. Era già pronto da domenica, quando è uscito l'ultimo numero del quotidiano.


Il governo del fare


Gli studi internazionali più accreditati sul legame tra il livello di istruzione e lo sviluppo complessivo, anche economico, di una nazione dicono che sono fondamentali sia la quantità che la qualità dell’insegnamento. In particolare, per quanto riguarda questo secondo aspetto, l’incidenza maggiore, nelle società cosiddette avanzate, è data dall’istruzione di carattere generale, molto più che da quella specifica e professionale. È dimostrato da studi Ocse molto accurati che è sbagliato pensare all’istruzione «in termini grettamente strumentali, come ad una serie di utili competenze capaci di produrre un vantaggio a breve termine» (Martha Nussbaum, Università di Chicago). Occorre invece valorizzare soprattutto le scuole superiori di carattere liceale, dove si «impara ad imparare» e si crea una mente aperta e flessibile, capace di interpretare situazioni e problemi in trasformazione.
Ma l’elemento più decisivo sta nel ruolo dell’insegnante, da cui dipende in misura altamente significativa la qualità dell’apprendimento. Per garantire la profesionalità dei docenti si tende ad «imporre loro standard oggettivamente più impegnativi, [ma] i risultati di questa ed altre ricerche fanno sorgere seri dubbi sull'efficacia di misure quali certificazioni obbligatorie, master e cose simili. Piuttosto, le differenze sostanziali nella qualità di insegnanti con background comune mettono in luce la necessità di prospettare più stretti legami fra rendimenti e ricompense» (Eric A. Hanushek, Università di Stanford).
Se ne deduce, insomma, che il futuro di un Paese, che dipende per il 75% dal livello di scolarizzazione (fonte Ocse), è connesso in particolare al potenziamento degli insegnamenti di carattere generale e alla valorizzazione della professione docente, anche e soprattutto in termini di retribuzioni adeguate.
Il governo italiano sembra voler ignorare in modo sistematico tutte queste indicazioni. La recente «controriforma» della scuola superiore ridimensiona non soltanto la quantità dell’offerta formativa, riducendo le ore di lezione in tutti gli indirizzi, ma soprattutto limita fortemente l’importanza di materie come il diritto, la geografia, la storia dell’arte e la filosofia, le materie con cui s’impara ad imparare, alle quali sottrae ore in molti corsi di studio.
Quanto alle retribuzioni dei docenti, sono inferiori del 25% a quelle della media Ocse e di oltre il 40% a quelle dei Paesi più avanzati. Dal 2001 al 2010 le risorse per la scuola pubblica sono diminuite costantemente, dell’80% quelle finalizzate al funzionamento degli istituti, del 50% gli investimenti per l’autonomia, del 75% quelle riservate alle supplenze e all’aggiornamento dei professori (dati di fonte Ocse).
Una popolazione con un più elevato livello di educazione è anche più propensa ad avere un governo più onesto ed efficiente. Lasciamo da parte per ora l’onestà, ma questo non era il governo del fare, il governo dell’efficienza?

Angelo Conforti

domenica 30 ottobre 2011

Chiude La Sera di Parma



GLI SCANDALI A PARMA NON SONO ANCORA FINITI.



NON E' UNO SCANDALO CHE IN UNA CITTA' COME PARMA TUTTI, PROPRIO TUTTI, LEGGANO LA GAZZETTA DI PARMA?

NON E' UN QUOTIDIANO, LO DICE IL NOME, E' UNA GAZZETTA.

ECCO, A SEGUIRE, L'ULTIMO EDITORIALE DEL DIRETTORE DELLA SERA.

"LA SCUOLA VISTA DALLA LUNA" IN EDICOLA OGNI GIOVEDI' SU LA SERA DI PARMA CONTINUA LE PUBBLICAZIONI SUL BLOG DI SCUOLA DEMOCRATICA: http://scuolademocratica.blogspot.com/


Cari lettori, due settimane fa lanciavamo un segnale di allarme sul futuro di questo giornale, oggi siamo qui a dirvi che questo, al momento, è l’ultimo numero de La Sera. Tanto ci sarebbe da dire – e tanto si dirà, temo – sulla meravigliosa parabola del nostro quotidiano, ma vorrei cogliere l’occasione di questo ultimo editoriale per guardare avanti piuttosto che al passato. Parma in questi mesi ha forse aperto gli occhi su quanto stava accadendo in città e lo ha fatto nel modo più brusco e sconvolgente, come sempre accade quando ci si risveglia da un lungo sonno. I comitati, i partiti, le forze economiche, tutto appare in movimento come mai prima d’ora. Il problema in tutti i cambiamenti è se si resterà alla superficie delle cose o se qualcosa muterà per davvero nella società parmigiana. Se la si farà finita con le nomine dei soliti, con i consociativismi, con gli amici degli amici, con gli accordi sotto banco; se davvero una classe dirigente prenderà atto di aver sbagliato e si farà da parte lasciando spazio a nuove forze, nuove idee. Il gattopardismo, dobbiamo rendercene conto, non è un male che affligge la Sicilia di fine Ottocento, ma permea tutto il nostro Paese, Parma compresa. Come favorire un vero cambiamento? Nessuno ha in tasca facili soluzioni, ma una via c’è ed è tanto semplice quanto difficile da mettere in atto (le soluzioni che non comportino fatica non servono a nulla).
Tutto parte da noi, dalla nostra consapevolezza di avere una responsabilità come cittadini. Responsabilità di informarci, di essere consapevoli di quanto accade, cercando di leggere in modo critico la realtà che ci circonda senza adagiarci pigramente sugli slogan, sui facili dualismi che propongono la contrapposizione noi/loro come unico punto di vista possibile. Una città che vota un sindaco inseguendo l’immaginario vincente e spensierato di “Vignali è simpa” deve porsi delle domande e darsi delle risposte, prima ancora che andare a caccia di streghe e innalzare i roghi puntando il dito sui politici tutti uguali, tutti corrotti e tutti privilegiati. Il nostro giornale in questi mesi ha cercato di far questo, dare un contributo e uno stimolo a questo tipo di processo offrendo al meglio delle nostre possibilità l’unica cosa che un giornalista degno di questo nome ha da mettere sul piatto: notizie. Qualcuno ha capito, qualcuno ha amato, qualcuno (pochi per la verità) ha odiato e molti (purtroppo) hanno ignorato. E non è un buon segno. I soloni tra gli addetti ai lavori diranno (e l’hanno già detto) che siamo stati avventati, che la carta stampata non funziona, che il giornale aveva troppa politica, che non avevamo i morti in ultima pagina e via discorrendo. Tutte cose vere, tutte cose giuste, ma rivendico il fatto di aver dato vita a un quotidiano davvero indipendente, nel quale abbiamo lavorato al meglio delle nostre possibilità, con onestà intellettuale e con un gruppo di giornalisti che, francamente, credo che qualunque direttore dovrebbe invidiarmi. Tutta gente nata e cresciuta professionalmente in questa Italia del precariato ad oltranza, dei “sei mesi di stage gratuito”, delle redazioni che non pagano stipendi per mesi ma che prendono contributi sonanti dallo Stato. Tutta gente che si è dovuta creare con le proprie mani l’opportunità di fare il lavoro come va fatto. Siamo orgogliosi de La Sera e per questo non intendiamo arrenderci, lottando strenuamente per far si che questo editoriale sia solo un arrivederci e non un addio. E per questo continueremo a fare il nostro lavoro su internet finché sarà possibile. In attesa di tempi migliori.

Massimo Capuccini
La Sera

giovedì 27 ottobre 2011

Istruzione e sviluppo economico

Pubblicato su La sera di Parma giovedì 27 ottobre 2011

"La scuola vista dalla luna" tutti i giovedì in edicola su La sera di Parma

venerdì 21 ottobre 2011