domenica 19 febbraio 2012

Niente cultura, niente sviluppo






Finalmente anche il quotidiano degli industriali esce allo scoperto e, nel suo inserto della Domenica, pubblica un manifesto in cinque punti, in cui "si dimostra che di cultura si può vivere e in cui si sprona il Paese a prendere iniziative per sfruttare le risorse del sapere che l'Italia possiede in abbondanza".


E' una posizione che Scuola Democratica sostiene da più di vent'anni, cercando di opporsi alla deriva virtuale e pantelevisiva che affligge il Paese e che è la causa principale del declino in cui continua a precipitare.


Auspichiamo che nella discussione che Il Sole 24 Ore intende attivare, si riconosca il ruolo decisivo che può rivestire la scuola pubblica nel riportare la conoscenza, il sapere, l'arte, al centro dei progetti di sviluppo in Italia.


Abbiamo già varie volte preso posizione per sottolineare il legame tra qualità dell'istruzione e sviluppo. Riteniamo che tornare ad investire risorse finanziarie sulla pubblica istruzione sia l'iniziativa primaria, fondamentale e irrinunciabile per un Rinascimento culturale italiano.


Abrogare la riforma del precedente governo (Tremonti-Gelmini) dovrebbe essere il primo passo, senza il quale difficilmente si possono attivare iniziative davvero concrete.

venerdì 17 febbraio 2012

Il denaro, il potere e la cultura


In un'epoca in cui il potere delle banche e della finanza sovrasta tutti gli altri poteri, ci sembra istruttivo studiare la storia di un grande banchiere italiano del passato, protagonista della rinascita degli studi umanistici, della centralità della cultura nella vita individuale e sociale, tra i padri fondatori dell'intera modernità, oggi in devastante declino.
Il confronto con i banchieri di oggi, fatte le debite proporzioni e contestualizzazioni storiche, li lasciamo all'immaginazione dei lettori.
(Il testo che segue è tratto da wikipedia).

Cosimo di Giovanni de' Medici detto il Vecchio o pater patriae (Firenze, 27 settembre 1389 – Careggi, 1º agosto 1464) è stato un politico e banchiere italiano, primo signore di fatto di Firenze e primo uomo di Stato di rilievo della famiglia Medici.

Figlio di Giovanni di Bicci e di Piccarda Bueri, fu educato da Niccolò di Pietro e Roberto de' Rossi. Sin dalla prima gioventù entrò nel Banco Medici a fianco del padre, dove ebbe una solida preparazione come banchiere.

Nel 1415 accompagnò l'Antipapa Giovanni XXIII al Concilio di Costanza. Lo stesso anno fu nominato priore e poco dopo fu usato spesso come ambasciatore. Viaggiò molto con il fratello Lorenzo durante la pestilenza di Firenze a Ferrara, Verona e Venezia (1430).

Si manifestò fin dai primi incarichi politici la sua proverbiale prudenza: sebbene i suoi interessi economici necessitassero un fermo controllo della vita politica cittadina, egli non mirava a diventare Signore della città, magari con un colpo di mano o cercando di essere eletto nei ruoli più prestigiosi di governo, ma la sua figura restava in ombra, vero burattinaio di una serie di personaggi fidati che per lui ricoprivano incarichi chiave nelle istituzioni.

Così, mentre numerose famiglie entravano nel partito mediceo, altre iniziarono a vedere in lui una minaccia e tra sottomettersi a Cosimo o sfidarlo apertamente scelsero la seconda strada. In particolare le antiche e ricchissime famiglie degli Albizzi e degli Strozzi furono a capo della fazione anti-medicea. Con un colpo di mano Palla Strozzi e Rinaldo degli Albizzi lo fecero imprigionare nel settembre 1433 riuscendo a farlo incolpare del fallimento dell'ultima campagna per la conquista di Lucca, a farlo dichiarare magnate, cioè "tiranno".

Una serie di "bustarelle" abilmente distribuite evitarono comunque condanne irrimediabili, con la conversione della pena a esilio, la cosiddetta prima cacciata dei Medici.

Scrive il Machiavelli nelle Istorie fiorentine: «Rimasa Firenze vedova d'uno tanto cittadino e tanto universalmente amato, era ciascuno sbigottito; e parimente quelli che avevano vinto e quelli che erano vinti temevano.» (Istorie fiorentine IV, 30)

Cosimo trasferitosi a Padova e a Venezia (dove lasciò al monastero benedettino di San Giorgio una collezione libraria e i disegni di Michelozzo per una nuova biblioteca) trascorse un esilio dorato come un monarca in visita ufficiale, e grazie alle sue potenti amicizie ed alle buone riserve di capitali, poté oliare certi ingranaggi della Repubblica Fiorentina per preparare il suo rientro: le istituzioni repubblicane, nel loro frenetico alternarsi, cambiarono nuovamente e questa volta Cosimo riuscì a riprendere le redini del potere facendo eleggere un governo a lui favorevole, che lo richiamò appena un anno dopo la sua partenza esiliando i suoi oppositori.

L'entrata trionfale di Cosimo, acclamato dal popolo, che preferiva i tolleranti Medici agli oligarchici e aristocratici Albizzi, segnò il primo trionfo della casata.

Dopo aver spedito gli avversari a loro volta in esilio, si affermò come arbitro assoluto della politica fiorentina, pur senza coprire direttamente cariche (fu solamente due volte gonfaloniere di giustizia).

Attraverso il controllo delle elezioni, del sistema tributario e la creazione di nuove magistrature (come il Consiglio dei Cento) assegnate ad uomini di stretta fiducia, pose le solide basi del potere della famiglia dei Medici, rimanendo comunque formalmente rispettoso delle libertà repubblicane.

Molti lo hanno definito un criptosignore, che teneva le redini dello stato dal suo Palazzo in Via Larga, dove ormai si recavano gli ambasciatori in visita per trattare degli affari che contavano, dopo un fugace saluto di circostanza ai priori di Palazzo della Signoria che, come avveniva per le altre cariche dello stato, erano scelti fra i suoi. Si comportò con generosità e moderazione ma, ravvisandone la necessità, seppe anche essere spietato. Quando Bernardo d'Anghiari, accusato di un complotto, fu, per ordine dei priori, precipitato da una torre, Cosimo commentò: "Un nemico precipitato giù da una torre non giova a granché, ma neppure può far male". Aggiungendo: "Gli stati non si governano coi paternostri". Nessuna vera e propria contestazione si ebbe più della sua influenza, esercitata con saggezza attraverso famiglie come i Pitti o i Soderini.

Nel 1439, grazie a cospicue elargizioni in denaro, riuscì a convincere Papa Eugenio IV a spostare il concilio di Ferrara a Firenze, nel quale si stava discutendo l'unione tra chiesa latina e chiesa bizantina, anche a causa della peste che minacciava Ferrara. L'arrivo dei delegati bizantini a Firenze, del papa, dell'Imperatore Giovanni VIII Paleologo, con tutta una corte di colorati e bizzarri personaggi dall'Oriente, stimolò incredibilmente la fantasia della gente comune e ancora di più degli artisti fiorentini, tanto che da allora si iniziò a parlare di Firenze come della nuova Roma. A questa pletora di letterati e prelati orientali, detentori di brandelli dell'antica cultura ellenica, corrispose una straordinaria fioritura di studi greci, con una costante presenza da allora di maestri di greco e di codici antichi nel Palazzo Medici. Di quel periodo abbiamo una vivace raffigurazione negli affreschi della Cappella dei Magi di Benozzo Gozzoli, terminati all'epoca del figlio di Cosimo, Piero il Gottoso.

Il suo monaco e scrittore della corte dei Medici, il nobile Leonardo Alberti de Candia, con lo pseudonimo di "Leonardo da Pistoia, il monaco" fu incaricato da Cosimo de' Medici di reperire per suo conto antichi manoscritti in lingua greca e latina per il territorio degli antichi stati Bizantini.
Nel 1453 durante un viaggio in Macedonia, il suo scrittore Leonardo da Pistoia (monaco) scoprì quattordici libri del Corpus Hermeticum, un testo greco di Ermete Trismegisto. L'opera scoperta da Leonardo era la copia originale appartenuta a Michele Psello, risalente all'XI secolo. Ritornato a Firenze, il monaco Leonardo da Pistoia consegnò il Corpus Hermeticum a Cosimo de' Medici che non più tardi del 1463 incaricò Marsilio Ficino di tradurre dal greco al latino.

Negli anni si ritirò in vita privata alla villa di Careggi dove morì.

Alla sua morte la Signoria fece scrivere Pater Patriae sulla lastra della sua tomba, posta simbolicamente davanti all'altare della chiesa di San Lorenzo, in un luogo che nelle basiliche cristiane era di solito riservato alle reliquie dei santi ai quali era dedicata la chiesa. Doveva anche essere sposato con una persona che probabilmente si era messa con lui da giovane soprattutto per scopi di interesse ma possiamo dire che con il passare del tempo scoccò la vera fiamma d'amore fra i due e non fu una storia infelice come quella di tanti altri grandi della storia.

In politica estera, dopo la vittoria definitiva contro i Visconti con la Battaglia di Anghiari, allontanò Firenze dall'alleanza con Venezia, i cui interessi non erano più complementari, ma anzi iniziavano ad essere combacianti, per legarla saldamente alla vecchia nemica di Milano, ora nelle mani di Francesco Sforza.

Uomo colto e mecenate, Cosimo fu tra i primi signori ad esercitare la magnificenza nelle arti e nell'architettura. Cosimo si circondò di letterati e umanisti, raccolse libri rari e fece costruire a Firenze il Palazzo Medici e il Convento di San Marco a Michelozzo. Solo per la costruzione del convento domenicano Cosimo mise a disposizione la somma astronomica di 85.000 fiorini d'oro. Qui sistemò una parte della sua collezione di libri rari e la dotò della prima biblioteca pubblica di Firenze. Inoltre portò avanti i lavori a San Lorenzo, iniziati dal padre e progettati da Filippo Brunelleschi.

Anche il mecenatismo fu un'arma nelle mani di Cosimo, intesa come fine investimento propagandistico: con la sua benevolenza a artisti e poeti, obbligava la città a parlare con ammirazione di lui, si creava un sistema di debiti morali e e di riconoscenza, che in politica contavano quanto quelli monetari. La sua straordinaria saggezza fu quella di non far dissociare mai il suo nome da quello di Firenze: così nessuno avrebbe pensato con invidia alla sua ricchezza, ma vista sempre in un'ottica di benevolenza verso il bene comune della città.

Amò la vita di campagna, e in Mugello fece lavorare il suo architetto Michelozzo per ristrutturare le ville di famiglia del Trebbio, di Cafaggiolo, oltre alla chiesa del Bosco ai Frati. A Careggi fece pure costruire la villa dove si svolse gran parte della sua vita familiare.
Fu anche amico e benefattore di numerosi artisti, tra i quali Beato Angelico, Donatello, Filippo Lippi, Paolo Uccello.
Fu molto legato a Marsilio Ficino, con il quale rifondò l'Accademia Neoplatonica, luogo ideale per il ritrovo degli umanisti, che potevano scambiarsi le varie teorie filosofiche. A Ficino arrivò a lasciare una casa a Firenze e una villa nei pressi di Careggi.

venerdì 10 febbraio 2012

Obama-Monti: un confronto impietoso

Forse non è un caso che l'unico capo di Stato e di governo che si ispira a Keynes, anche se timidamente, cioè Barack Obama, abbia capito anche la necessità di investire massicce risorse finanziarie nell'istruzione e di aumentare le retribuzioni dei professori (vedi Repubblica).
Si può forse discutere sulla volontà di produrre una nuova rivoluzione scientifica (un Rinascimento scientifico), puntando soprattutto su materie come matematica, chimica, biologia, ecc.
Noi siamo convinti che quel che serve oggi sia soprattutto un Rinascimento umanistico, ma non si può non approvare questa decisa svolta nella politica scolastica, in netta controtendenza rispetto all'Europa dell'Unione e, soprattutto all'Italia.


Infatti Monti, se ha studiato Keynes, se lo è dimenticato del tutto, con le sue politiche recessive, con le sue psuedo-liberalizzazioni dell'offerta in una crisi della domanda. E' vero che la fase neo-liberista l'Italia l'ha interpretata come privatizzazione dello Stato e quindi è rimasta indietro di 30/40 anni rispetto al resto del mondo occidentale, ma a questo punto quella fase sarebbe meglio saltarla e riscoprire in fretta il ruolo dello Stato.


Comunque, per tornare al tema, il professor Monti la parola scuola forse non l'ha mai pronunciata e la politica del suo governo, in quanto ad investimenti sulla pubblica istruzione, sta facendo peggio di tutti quelli precedenti, che pure eran riusciti a distruggerla quasi completamente.


Un confronto davvero impietoso tra chi cerca di andare avanti, come fa un capo di Stato di una nuova generazione, con idee innovative e propositi di potenziamento del servizio pubblico (con il sostegno dei privati) e chi è rimasto indietro, come un capo di governo della generazione che ha portato l'Italia sull'orlo del baratro e ora dovrebbe risollevarla con idee stantie, con le armi del ricatto sociale, della riduzione dei diritti e della tassazione dei ceto meno abbienti.


Ma chi si farebbe curare da chi gli ha trasmesso la malattia?

Profumo peggio della Gelmini




Dopo le devastanti politiche per la distruzione della scuola pubblica intraprese da Tremonti e dalla Gelmini con il precedente governo (legge 133/2008), questo governo sembra ignorare sia le dottrine economiche keynesiane (le uniche che permetterebbero di uscire dal disastro dopo 40 anni di neoliberismo reaganiano, tatcheriano e craxo-berlusconiano alla Milton Friedman) sia gli studi internazionali che collegano direttamente investimenti sulla pubblica istruzione a benefici in termini economici diffusi.

E così, dimostrando un'indifferenza assoluta per i problemi dell''istruzione, della formazione e della ricerca (senza istruzione pubblica e senza fondi pubblici è impossibile fare ricerca vera, non sottomessa a logiche di profitto) riducono ulteriormente i fondi per l'offerta formativa: soltanto 11 milioni di euro per i 10.000 istituti e una media inferiore a un'euro e mezzo ad alunno. Dal 2000 il fondo diminuisce così del 93%!

L'articolo 34 della Costituizone repubblicana è ormai di fatto pura ideologia (propaganda demagogica di una realtà in cui i diritti previsti dai Padri Costituenti sono totalmente calpestati).

Questo governo tecnico di professori forse non ha studiato abbastanza.

giovedì 9 febbraio 2012

La scuola dello Stato non è più pubblica



Una recente inchiesta di Repubblica mette in luce la tragica realtà della scuola pubblica italiana che, ormai, per poter funzionare, deve chiedere contributi "volontari" alle famiglie degli studenti, che in alcuni casi arrivano a coprire quasi l'80% del budget complessivo degli istituti.

Insieme all'incapacità di far funzionare le ferrovie (di cui si servono molti professori e studenti per raggiungere, in ritardo, la scuola di lavoro e di studio), il declino inarrestabile dell'istruzione pubblica e la violazione ormai sistematica del diritto allo studio non è soltanto la metafora perfetta del disastro italiano, è anche una violazione di fatto della Costituzione.

L'Italia verso l'abisso