Non abbiamo neanche fatto in tempo a scrivere che il Ministro della Pubblica Istruzione vuole abolire la Pubblica Istruzione che lei stessa ci ha dato ragione. Con la candida sfrontatezza che contraddistingue tutti gli esponenti del Governo/Mediaset/Mondadori (in cui Uomo, Partito, Stato e Azienda non si distinguono più), Mariastella Gelmini ha annunciato di voler concedere finanziamenti alle famiglie per indurle a frequentare le scuole private.
Ora è chiaro a cosa servono i tagli lineari alla scuola pubblica del ministro dell’istruzione pubblica. Le stesse risorse finanziarie saranno destinate agli istituti scolastici privati, diplomifici, centri di indottrinamento confessionale, centri di addestramento di esecutori obbedienti ai voleri dell’Azienda-Stato-Persona.
Le risorse raccolte con le imposte pagate da tutti i cittadini serviranno a finanziare di fatto imprese private di fabbricazione del consenso.
La Costituzione della Repubblica Italiana, art. 33, commi 2 e 3, recita in modo inequivocabile: “La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
Che cos’è lo Stato? Lo Stato sono i cittadini. Perciò, “senza oneri per lo Stato” significa “senza oneri per i cittadini”. Sembra abbastanza chiaro che i cittadini non debbano essere gravati di imposte per finanziare iniziative private.
L’iniziativa del ministro è dunque contraria alla lettera e allo spirito della Costituzione e forse occorrerebbe fornire più chiaramente queste informazioni a tutti coloro che hanno a cuore la libertà e la democrazia (quelle vere, non quelle che compaiono negli slogan dei partiti, parole spesso svuotate di senso) e la difesa sostanziale della nostra Carta fondamentale, fonte dei diritti di tutti.
Già nel 1955 un grande filosofo e politico laico come Guido Calogero aveva, con straordinaria lungimiranza, indicato il pericolo e il percorso per evitarlo. Ecco il suo intervento, di grande attualità, pubblicato sulla testata Il Mondo del 6 Dicembre di quell’anno:
«Se in Italia la scuola laica è in pericolo, questo significa che molti italiani non hanno ancora capito che interesse abbiano a difenderla. E non si suscita quell’interesse solo ripetendo che essi debbono difenderla. Bisogna far loro capire in che consiste quell’interesse, ragionando, per così dire, sulla pelle dei loro figli, cioè spiegando loro che cosa una scuola seria deve dare ai loro figli, e che cosa non deve dare, affinché essi ne escano cittadini capaci e ragionevoli, i quali non mandino a male le loro faccende private e pubbliche creando così la loro stessa infelicità. Ed ecco che non si può non parlare della struttura stessa della scuola, e di come i docenti debbono insegnare e di quel che i ragazzi debbono imparare. Di fatto, la battaglia per il laicismo educativo non è altro che la battaglia per una scuola più intelligente contro una scuola meno intelligente. E proprio per ciò che essa si presenta da noi in primo luogo come difesa della scuola di Stato – cioè della scuola che, dovendo essere assicurata dallo Stato a tutti i cittadini, quale che sia il loro orientamento religioso, ideologico o politico, deve restare indipendente da ogni presupposto di tal natura – nei confronti della scuola privata, la quale, essendo quasi sempre organizzata da gruppi caratterizzati confessionalmente, si appella a famiglie, e forma scolaresche, sempre educate in modo più o meno unilaterale. La fondamentale legittimità di questo aspetto della difesa della scuola laica consiste nel fatto che un’educazione condotta, comunque, in base a certi orientamenti dottrinali presupposti come indiscussi, o discussi in misura insufficiente, crea uomini moralmente e civicamente meno solidi di un’educazione la quale non presupponga alcun tabù ed alleni continuamente i giovani all’attenta e rispettosa discussione di qualunque idea e fede, propria ed altrui. In una situazione come la nostra, il pericolo della diffusione di un tipo di educazione conformistica, in cui i docenti cerchino soprattutto di formare giovani che la pensino come loro, coincide ovviamente, in larga misura, con quello della diffusione della scuola privata, la cui organizzazione finanziaria e strutturale è possibile quasi soltanto ai gruppi cattolici. Di qui la necessità di difendere vigorosamente contro di essa la scuola di Stato, la quale nonostante tutto continua ad offrire una maggiore garanzia di non confessionalità; di qui la necessità di non accedere alla richiesta della sovvenzione statale a scuole private, salvo alla condizione (di accertamento pressoché impossibile oggi in Italia) che esse non fossero né cattoliche, né comuniste, né comunque dominate da un unitario orientamento dottrinale».
Fidenza, 19 Giugno 2009
martedì 23 giugno 2009
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